Roy Halston — il successo è il prezzo da pagare
Roy Halston Frowick, l’uomo venuto dal nulla, incarnazione perfetta del sogno americano declinata in chiave fashion, nacque nel 1932 in una cittadina dell’Iowa.
Dopo aver disegnato (non senza successo) una linea di cappelli, e dopo una breve esperienza come designer per Lilly Daché ,ottenne i consigli e i favori del dio della moda britannica Charles James e arrivò a New York negli anni Cinquanta.
In poco tempo divenne l’artefice del nuovo modo di vestire della donna emancipata alla fine degli anni Sessanta, il re del jersey e dello chiffon, il workhaolic maniacale che non lasciava nessun dettaglio al caso, il perfezionista, il viveur che ha animato con le sue feste la vita notturna di New York e che non perdeva una serata allo Studio 54. Ma anche il businessman con i piedi per terra, che faceva personalmente i colloqui con i suoi dipendenti quando la sua azienda era diventata la più importante casa di moda made in USA.
Una serie infinita di qualità e vizi che hanno spesso portato gli addetti ai lavori a paragonarlo all’Yves Saint Laurent d’oltreoceano, senza mai nominarlo troppo in Europa. Il fatto che il signor Halston non uscisse di casa senza avere con sé un entourage di belle donne , le cosiddette “Halstonettes” con rispettivi e multipli accompagnatori, o fosse un assiduo frequentatore della nightlife d’alto e meno alto bordo, è qualcosa che ha interessato marginalmente i rotocalchi. Quello che interessava, semmai, era cosa indossavano le persone che facevano parte di quella cerchia. Le silhouette scivolate nei tessuti ,ora aerei, ora talmente fluidi da sembrare liquidi, delle sue creazioni hanno aperto la strada a un nuovo modo di passare dal red carpet alla pista da ballo.
Come egli stesso dichiarò in un’intervista rilasciata a Vogue, ciò che più gli stava a cuore, nella creazione dei capi, era la funzionalità. Odiava tutto ciò che non fosse funzionale, come fiocchi o cuciture inutili; le sue collezioni fin dal principio si distinsero per un minimalismo funzionale. Si trattava di capi eleganti e sexy ma dalle linee semplici e pulite.
I suoi pezzi più celebri sono la versione alleggerita e fortemente sessualizzata della tuta e del caftano (portato con assolutamente niente sotto) da far volteggiare sulle note della disco music. Il merito di aver vestito dive come Liza Minnelli, Cher, Gloria Swanson, Elizabeth Taylor e Bianca Jagger, per citarne alcune, gli ha garantito di essere per anni il designer di riferimento di Hollywood e dell’industria musicale,e allo stesso tempo, aver pensato al nuovo ruolo della donna nella società dopo il boom economico lo ha avvicinato al mass market (e questo sì che fu uno scandalo).
Ecco allora una versione più asciutta del tailleur, perfetta per l’ufficio, e la maglieria per il giorno, anche questa rivisitata nella modellistica, un po’ meno homemade e un po’ più industrializzata, il che è piacque molto anche alle industrie tessili, che si sono viste raddoppiare gli ordini e moltiplicare i modelli diventati finalmente più ordinati: la paternità del twin set in cachemire come lo concepiamo oggi è attribuibile al 99% proprio a Halston.
Il total look in camoscio “Ultra Suede” per la sera fu rilanciato da lui nel 1972, un particolare tessuto facilmente lavabile anche in lavatrice, comodo e perfettamente adattabile alla silhouette. Il suo HALTER DRESS, ideato due anni più tardi, è entrato nei dizionari di moda: quando parliamo di scollatura all’americana, parliamo di Halston, che ne fu l’inventore. La sua donna era una sirena della disco glam di fine anni Settanta. I suoi abiti, perfetti per un party in piscina, erano la perfetta incarnazione del mito americano. Colori caldi come il bronzo, l’oro, l’argento, il fucsia, il blu elettrico e tessuti come il cachemire, il jersey e la seta.
Ad Halston è da attribuire anche il ritrovato interesse per la profumeria: la sua omonima fragranza, presentata nel 1975, è stata tra le più vendute in tutto il mondo. In quegli anni, proprio a partire dal beauty, si affaccia la possibilità di aprirsi anche al segmento maschile. Il suo uomo è ultra classico, non aggiunge e non toglie nulla alla scelta di un guardaroba che, al contrario, stava diventando sempre più vario e l’appeal sul pubblico non c’è. L’avventura termina quasi prima di essere cominciata. Tra i suoi clienti però non mancano gli amici Andy Warhol e Truman Capote.
Ad andare storto non è solo il piccolo tentativo fatto nel menswear, purtroppo. Ci sono la sregolatezza e l’abuso di droghe, che lo portano a commettere una serie di scelte, anche a livello manageriale, del tutto sbagliate. E la relazione che inizia e rimane intermittente e tormentata fino alla fine con l’artista venezuelano Victor Hugo. I finanziatori che chiedono molto presto la vendita del marchio per salvarlo dal fallimento e arrivano a licenziare lo stesso Halston, impedendogli di usare il suo nome.
In pochissimo tempo l’enorme successo di cui ha goduto per anni si sgretola pezzo dopo pezzo. Finisce un’era, e il marchio Halston non richiama più ammiratrici e clienti svalutandosi velocemente. Lo stilista decise così di ritirarsi a vita privata ma nel 1988 scoprì di essere sieropositivo e morì per complicazioni legate al virus nel 1990.
Ma ancora oggi il nome Halston continua ad essere sinonimo di stile e si contraddistingue come uno dei marchi più venduti negli Stati Uniti.
Elizabeth Taylor in Halston celebrates her 46 birthday at Studio 54 with the designer. New York 1978.
Elsa Peretti, Halston and friend.
Halston and Anjelica Huston fitting
Halston and Margaux Hemingway (in Halston) in New York 1975.
Halston models
Halston with Dolly Parton and Andy Warhol
Halston with his models at his fashion show
Halston with his models
Halston with Bianca and Mick Jagger at Studio 54
Lauren Hutton in Halston by Francesco Scavullo
Lauren Hutton in Halston dress at the Oscars 1975
Liza Minelli and Halston